domenica 24 luglio 2011



Il Ramadan è alle porte, masha Allah. Nella quiete delle nostre case, masha Allah, non dimentichiamo le nostre sorelle e i nostri fratelli che non potranno trascorrere questo mese benedetto con le loro famiglie, poiché sono ingiustamente incarcerati per la loro religione, che Allah li liberi e li ricompensi nel Jannah per il sabr, âmîn.



Tra loro, ricordiamo in particolare nostra sorella Aafia, condannata all’ergastolo per un crimine che – come tutti sanno, a partire dagli autori del complotto ai suoi danni – ella non ha mai commesso.



Per lei, che si trova ancora in isolamento in un carcere di massima sicurezza americano, Justice For Aafia (JFA) ha preparato delle cartoline prestampate di cui potete chiedere alcune copie scrivendo direttamente all’amministrazione del sito, o – in alternativa – inviando un altro messaggio di vostro gusto a:

AAFIA SIDDIQUI # 90279-054
FMC CARSWELL
FEDERAL MEDICAL CENTER
P.O. BOX 27137
FORT WORTH, TX 76127
U.S.A



Che Allah vi ricompensi,

Wa-s-salâm.

mercoledì 13 aprile 2011

Lauren 4 Aafia





Mi rivolgo a tutti coloro che continuano a lottare per la liberazione di Aafia Siddiqui: vorrei aggiugere la mia voce ai vostri appelli alla giustizia.

Di tutte le parole che sono state scritte su questo terribile caso, una frase è rimasta impressa nella mia mente: “La vittima è diventata l’imputata”.

Fin dall’inizio del supplizio suo e della sua famiglia, le ferite della dott. Siddiqui, la sua prigionia, la maniera brutale in cui le autorità statunitensi l’hanno trattata, tutto ciò è sempre stato stravolto e utilizzato quale prova della sua colpevolezza.

In questa era, in cui l’aggressione statunitense è dipinta come “aiuto”, in cui gli attacchi dei droni contro gli abitanti dei villaggi in Pakistan sono spacciati a mass media compiacenti come indispensabili alla salvaguardia dei “nostri” interessi, si è permesso che l’esistenza di questa madre si riducesse a quella di un morto vivente.

La violenza di cui è stata vittima, i suoi otto anni di incarcerazione sono stati deformati perché un  pubblico sprovveduto e disinformato identificasse la vittima con il colpevole.

Questa è la battaglia che dobbiamo affrontare.

Con partecipazione,
Lauren Booth