martedì 30 marzo 2010

Nuove rivelazioni relative agli abusi subiti da Aafia Siddiqui, costretta a camminare nuda sopra il Qur’ân.

السلام عليكم ورحمة الله وبركاته

La Coalizione Giustizia per Aafia (Justice For Aafia Coalition – JFAC) si dice inorridita per le nuove rivelazioni relative agli abusi subiti da Aafia Siddiqui, costretta a camminare nuda sopra il Qur’ân.

PER IL RILASCIO IMMEDIATO
30 marzo 2010

Contattate: info@justiceforaafia.org

Dinanzi a centinaia di cittadini preoccupati, che hanno dedicato un Giorno della Memoria, in Pakistan, per commemorare il settimo anniversario del suo rapimento, la Coalizione Giustizia per Aafia (Justice for Aafia Coalition – JFAC) ha rivelato per la prima volta, in lingua inglese, i dettagli strazianti degli abusi che Aafia Siddiqui è stata costretta a subire durante gli anni trascorsi in detenzione segreta.

Nel corso di un’intervista di Kamran Shahid, nella trasmissione Pakistan’s Front Line del 29 marzo, la madre e la sorella di Aafia Siddiqui hanno descritto pubblicamente per la prima volta le varie forme di tortura da lei subite per mano di agenti americani. Tra queste:

- Venne spogliata forzatamente da sei uomini, che poi abusarono di lei sessualmente

- Venne picchiata col calcio del fucile, fino a farla sanguinare.

- Fu legata ad un letto, con le mani e i piedi legati, mentre non specificati tipi di tortura venivano somministrati alle piante dei piedi e alla testa.

- Le vennero iniettate sostanze ignote.

- Fu trascinata per i capelli

- Le strapparono i capelli uno per uno.

- Fu costretta a camminare sul Qur’ân, che era stato profanato nella sua cella, nuda.

Maryam Hassan, fondatrice della Justice for Aafia Coalition (JFAC), ha commentato:

“Queste ultime rivelazioni fanno luce per la prima volta su anni di detenzione finora avvolti nel buio e nel mistero. Nudità forzata, violenza sessuale, profanazione del Corano, sessioni di tortura videoregistrate sono diventate infami caratteristiche delle detenzioni da parte degli Usa fin dall’inizio della “guerra al terrore”, da Bagram, fino ad Abu Ghraib e Guantanamo.

L’amministrazione Obama deve immediatamente rivelare qualsiasi prova video in suo possesso relativo alla detenzione e alle torture inflitte alla signora Siddiqui. L’opinione pubblica americana ha il diritto di sapere che cosa viene perpetrato in suo nome, tanto quanto l’opinione pubblica pakistana merita di conoscere l’orrendo abuso cui è stata sottoposta una delle sue cittadine”.

Per l’intervista completa, trascritta e tradotta in inglese dalla Coalizione Giustizia per Aafia, si prega di visitare il sito:
http://justiceforaafia.org/index.php/articles/articles/477-front-line-interview-with-aafia-siddiquis-family-

Per vedere la registrazione della trasmissione televisiva in Urdu:
http://justiceforaafia.org/index.php/multimedia/475-aafia-siddiqi-front-line-special-program-26th-march-2010

Una versione con sottotitoli in inglese sarà disponibile al più presto sul sito http://www.justiceforaafia.org

In italiano:

http://aafialibera.blogspot.com





domenica 28 marzo 2010

Una coccarda viola per Aafia

Ispirati dall’idea lanciata dal sito della JFAC (Justice For Aafia Coalition), abbiamo chiesto alla cara sorella Federica (jazahAllahu khayran) di prepararci una coccarda che inshaAllah invitiamo tutti e tutte ad inserire nei vostri siti e blogghetti, suggerendovi di inserire nella stessa un link al nostro sito in italiano a sostegno di Aafia e dei suoi bambini,

un semplice gesto per rendere piu’ visibile la vostra solidarieta’ inshaAllah…

…jazakumullahu khayran wasalam

Umm Yahya

sabato 27 marzo 2010

Robert Fisk su Aafia Siddiqui

Il misterioso caso della Signora Grigia di Bagram

Come una neuroscienziata madre di tre figli può finire in prigione quale agente di Al-Qa‘ida?

di Robert Fisk, The Independent

Venerdí 19 Marzo 2010

Il Dottor Shams Hassan Faruqi siede tra le sue rocce e i suoi reperti geologici, si scuote la testa barbuta e mi fissa: “Dubito fortemente che i bambini siano vivi”, dice, “probabilmente sono deceduti”. Lo dice in un modo strano, triste ma rassegnato, eppure in qualche modo pare sorprendentemente impassibile. Io congetturo che questo anziano geologo pachistano settantatreenne, quale presunto testimone della misteriosa ricomparsa, nel 2008, di Aafia Siddiqui – “la donna piú ricercata al mondo” secondo l’ex procuratore generale statunitense John Ashcroft – sia usato alla luce della ribalta. “E i bambini?”, gli domando novamente: che è accaduto ai bambini?

Il Dottor Faruqi è zio di Aafia Siddiqui e presenta una fotografia della nipote all’età di tredici anni, quando faceva una scampagnata nelle colline di Margalla sopra Islamabad, una ragazzina sorridente vestita con una tunica shalwar e appoggiata ad un albero. Ella non pare della stessa natura di cui son fatti i membri operativi di Al-Qa‘ida. Adesso però è una semiicona in Pakistan, paese che potrebbe ben essere stato coinvolto nel suo singolare rapimento e che ora la rivuole tanto disperatamente[1] indietro da una prigione americana; i suoi figli, misteriosamente e incomprensibilmente, sono stati dimenticati.

La storia di Aafia Siddiqui è tanto famosa adesso in Pakistan quanto è famigerata nell’aula di tribunale di New York City, nella quale il suo processo per tentato omicidio di un soldato americano nella città afgana di Ghazni nel 2008 è visto come un simbolo dell’ingiustizia americana: questo mese è stata riconosciuta colpevole e affronta un minimo di vent’anni di carcere per una sola delle imputazioni a suo carico. “Vergogna, America!” gridano i manifesti in tutte le maggiori città pachistane. Aafia Siddiqui è nota quale “Signora Grigia di Bagram”, torturata forse per cinque anni nella crudele prigione afgana. Il presidente del Pakistan, Asif Ali Zardari, ha chiesto all’inviato americano Richard Holbrooke di rimpatriare la Siddiqui in base al progetto di scambio di prigionieri fra Pakistan e Stati Uniti, mentre il Primo Ministro Yusuf Raza Gilani l’ha soprannominata “figlia della nazione”; il capo dell‘opposizione Nawaz Sharif promette di chiedere il suo rilascio. Nessuno di costoro, però, menziona i bambini: Ahmed, Suleiman, e Maryam.

Ahmed ritornò in Pakistan dall’Afghanistan nel 2008, ma il Dottor Faruqi mi dice che non crede neanche per un momento che quello sia il figlio di Aafia Siddiqui. “Venne qua per istare con me, ma disse che non conosceva Aafia finché non fu portato a Ghazni. Mi disse: “Vi fu un forte terremoto in Afghanistan, ed i miei fratelli e sorelle rimasero uccisi mentre io andavo per acqua, la qual cosa mi salvò la vita”. Mi raccontò che dopo il terremoto fu messo in un orfanotrofio di Kabul. Gli fu mostrata una fotografia di mia nipote Aafia e disse che non conosceva quella signora e non l’aveva mai vista prima. Allora fu portato a Ghazni e gli fu detto di sedersi vicino a questa donna, cioè mia nipote. Il ragazzo è intelligente, semplice e genuino”.

Tutti i misteri di tal sorta richiedono che si racconti la storia dalle origini[2]. Andò cosí: Aafia, una trentottenne neuroscienziata, ex allieva del Istituto universitario di tecnologia del Massachusetts (MIT) e dottoressa di ricerca di Brandeis, scomparve nel 2003 dopo aver lasciato la casa della sorella in direzione dell’aeroporto di Karachi, in compagnia dei figli Ahmed, Suleiman, e Maryam. Gli Americani dicono che fosse un’agente di Al-Qa‘ida di primo piano: questo secondo il suo ex marito. Si risposò con Ammar al-Baluchi, adesso nella prigione della Baia di Guantanamo, il quale è cugino di Ramzi Yousef, condannato per l’attentato al World Trade Center del 1993. Non si direbbe un sano curriculum vitae[3] nell’ossessiva “Guerra al terrore” dell’Occidente. Nel 2004 l’ONU l’identificò come membro di Al-Qa‘ida.

Alcuni detenuti, rilasciati dal famigerato carcere di Bagram presso Kabul, nella quale la tortura è abituale e almeno tre prigionieri sono stati ammazzati, hanno dichiarato che c’era una donna ivi imprigionata, donna le cui urla di ogni notte spinsero i detenuti a iniziare uno sciopero della fame. Fu soprannominata la “Signora Grigia di Bagram”. Al suo processo niuiorchese, la Siddiqui ha chiesto che siano congedati i membri ebrei della corte, ha cacciato i suoi avvocati difensori, secondo i quali è divenuta instabile dopo la tortura, e ha rivelato d’essere stata torturata in prigioni segrete dopo il suo arresto: “Se foste stati in una prigione segreta … in cui i bambini fossero stati uccisi …”, ha detto.

Poi si giunge alla città di Ghazni, a mezzogiorno di Kabul. Proprio lí fu fermata dalla polizia afgana nel 2008, mentre trasportava una borsetta nella quale si suppone che si trovassero note su armi chimiche e agenti radiologici, appunti su attacchi contro obiettivi americani per provocare disastri di massa, e mappe di Ghazni. Soldati americani e agenti dell’FBI furono chiamati a interrogarla, e giunsero a Ghazni senza capire che la Siddiqui era nella stessa stanza, seduta dietro una tenda. Secondo la loro testimonianza, ella provò a prendere uno dei loro fucili d’assalto M4 e aprí il fuoco dicendo: “Sodomia vi faccia questo qui! Possa il sangue di [segue parola incomprensibile] ricadere sulle vostre [teste oppure mani][4]”. Fallí il colpo e fu centrata da due proiettili sparati da uno dei soldati con una pistola di nove millimetri. Donde le accuse e la condanna.

Ella non è stata agevolata da una dichiarazione allegata di Khalid Sheikh Mohammed (l’uomo accusato di avere progettato l’11 Settembre, il quale è zio del suo secondo marito Ammar al-Baluchi): questi ha affermato che Aafia Siddiqui è un agente superiore in Al-Qa’ida. Khalid Sheikh Mohammed, però, era stato appena sottoposto per centottantatré volte in un mese alla tortura dell’annegamento apparente[5], la qual cosa fa sí che la sua testimonianza non sia – è davvero il caso di dirlo – a tenuta stagna[6].

Le domande sono ovvie. Perché mai un’americana pachistana in possesso d’una laurea di Brandeis si trovava a Ghazni con una borsetta contenente obiettivi americani? E, se la sua famiglia era tanto preoccupata per lei, perché non riferí della sua scomparsa nel 2003, né si rivolse alla stampa, né raccontò la storia dei bambini? Ahmed – figlio di Aafia Siddiqui ovvero orfano afgano a seconda dei punti di vista – sta adesso a Karachi con la sorella di Aafia, Fauzia, che non gli permette di parlare coi giornalisti. Gli Americani per lui non hanno mostrato alcun interesse, e ancor meno per gli altri due figli minori. Perché?

Perlomeno strano, poi, è il fatto che, secondo il Dottor Faruqi, nel 2008, prima dell’incidente di Ghazni, Aafia Siddiqui tornò alla casa di lui stesso, nei sobborghi di Islamabad. “Indossava una burqa ed uscí dall’automobile, esattamente lí fuori” dice, indicando la strada a tre strisce fuori della finestra del suo ufficio. “La intravidi una sola volta, e le dissi che il suo naso era cambiato; però era lei. Parlammo del passato e dei suoi ricordi, era lei. Disse che l’ISI, l’Agenzia di Servizî Segreti del Pakistan, l’aveva lasciata venire qua. Voleva allontanarsi, voleva tornare in Afghanistan, laddove i Talebani a suo parere l’avrebbero protetta. Disse che dal momento del suo arresto non aveva saputo niente dei suoi figli, e qualcuno le aveva riferito che fossero stati mandati in Australia”.

Altre domande. Se la Siddiqui era una “prigioniera fantasma” in Afghanistan, come fece a tornare a casa del Dottor Faruqi a Islamabad? Perché avrebbe indossato una burqa[7] nella capitale cosmopolita del suo paese? Perché non avrebbe detto di piú sui suoi bambini? Perché non avrebbe svelato il vólto a suo zio? Arrivò veramente a Islamabad?

Fauzia adesso viaggia per il Pakistan con lo scopo di propagare la notizia dell’“ingiusto”[8] processo della sorella e delle torture compiute dagli Americani. La stampa pachistana in gran parte ha trattato questa storia con poca attenzione critica per le imputazioni di Aafia Siddiqui: ella è divenuta un protomartire, un martire vivente; se però la sua storia è comprensibile, esige necessariamente un certo margine d’incredulità. D’altra parte le solenni e costanti dichiarazioni degli Americani, che affermano di non aver saputo affatto dove si trovasse costei prima del 2008, hanno un suono infelice.

E i bambini? Di loro si è scritto raramente in Pakistan, e sono realmente “scomparsi” dalla storia, finché il presidente afgano Hamid Karzai questa settimana non ha compiuto una scomoda visita in Pakistan e, secondo Fauzia, avrebbe detto al Ministro degli Interni Rehman Malik che “I bambini di Aafia saranno presto mandati a casa”. Si riferiva Karzai agli altri due bambini? O a tutti e tre, incluso il “vero” Ahmed? E se i due o tre bambini di Aafia sono in Afghanistan, dove sono stati tenuti? In un orfanotrofio? In una prigione? E chi li ha custoditi, gli Afgani o gli Americani?

Traduzione di Abdullah Nur as-Sardani


NOTE:

[1] L’espressione è di tono ironico: l’autore scrive infatti oh-so-desperately (questa e tutte le note seguenti sono del traduttore).

[2] L’autore scrive story-so-far.

[3] Locuzione latina che significa ‘percorso di vita’.

[4] In inglese “Get the fuck of here. May the blood of [unintelligible] be on your [head or hands]“.

[5] La parola waterboarding, letteralmente ‘asse con acqua’ per comprimere la testa e dare l’impressione di affogare, indica una delle torture preferite da quei sadici e pervertiti aguzzini di imperialisti americani assassini.

[6] Gioco di parole fra il suddetto verbo waterboarded e water-tight, che letteralmente vuol dire ‘impermeabile all’acqua’ e per estensione vale ‘inconfutabile’.

[7] Mi pareva strano che in una simile storia di una donna musulmana a un certo punto non saltasse fuori questa burqa, ch’è diventata ormai una fissazione psicotica collettiva per gli occidentali: ed eccola qua comparire puntuale. Si noti dunque, all’interno di questo articolo che, tutto sommato, possiamo definire sufficientemente corretto e onesto, si noti la sciocchezza della domanda: a Fisk non passa per la testa che una donna tanto spietatamente seviziata, una volta uscita di galera, abbia tutte le ragioni di proteggersi, sotto qualsiasi aspetto, con un velo integrale? Ma forse è troppo difficile per chi non è musulmano. Allahumma, barik fi-l-munaqqabat!

[8] Signor Fisk, che fa, vuole accostare il concetto di giustizia all’America? Non le bastano le migliaia di persone barbaramente ammazzate ogni anno da questo stato sterminatore d’innocenti? Che altro aspetta di vedere?

Aafia Siddiqui: Vittima dell’Ingiustizia Americana – di Stephen Lendman

3 Febbraio 2010: la stampa del Dipartimento di Giustizia rilascia la seguente testata giornalistica: “La corte federale di Manhattan dichiara Aafia Siddiqui colpevole di tentato omicidio verso cittadini americani in Afghanistan e di altre sei accuse.”

Il verdetto finale e’ fissato al 6 Maggio. Ella rischia la pena di anni 20 di detenzione per i tentati omicidi e l’aggressione armata; un’intera vita da spendere in prigione per le accuse relative al possesso di arma da fuoco: e otto anni di detenzione per le altre accuse a suo carico. La Siddiqui si trova ad affrontare una sentenza obbligatoria minima di 30 anni di detenzione.

3 Febbraio: lo scrittore CJ Hughes del New York Times e’ l’autore della seguente testata giornalistica: “La scienziata pakistana colpevole di aver fatto fuoco”, giudicandola in tal modo colpevole di tutte e 7 le accuse, inclusi i tentati omicidi – vincendo un processo che ha fatto scalpore per le sue implicazioni terroristiche e teatrali allo stesso tempo, ma omettendo prove convincenti dell’innocenza della Siddiqui. Hughes affermo’ che al momento dell’arresto, furono rinvenute delle “istruzioni (nel suo borsellino) sul come ottenere esplosivi ed una lista di noti punti di riferimento a New York, inclusi la Statua della Liberta’, il Ponte di Brooklyn e l’Empire State Building”. La squadra della difesa riconobbe la loro esistenza, ma la Siddiqui nego’ di averli preparati o di conoscere la loro origine. Ella piu’ tardi disse di averli copiati da una rivista, ma di non aver pianificato alcun attacco terroristico, ne’ la parte legale dell’Accusa l’affermo’.

Hughes aggiunse che “i sospetti si destarono su di essa quando sia lei che i suoi tre bambini svanirono nel nulla in Pakistan nel 2003.” Ella non spari’. Sua madre racconto’ che ella lascio’ la casa di famiglia in Gulshan-e-Iqbal in taxi il 30 Marzo 2003 per prendere un aereo per Rawalpindi, ma che non raggiunse mai l’aeroporto. Gli agenti segreti pakistanesi la rapirono , la affidarono alle autorita’ statunitensi, dopo di che’ inizio’ la sua lunga terribile esperienza di prigioni segrete, interrogatori, e anni di torture brutali, anche se non ancora formalmente giudicata colpevole.

Suo figlio Mohammed fu rilasciato piu’ tardi a condizione che non rivelasse nulla. Gli altri due bambini Maryam e Suleiman scomparvero nel nulla e potrebbero essere stati uccisi.

Nel Maggio 2004 il Ministro degli Interni pakistano, confermo’ che Aafia fu affidata alle autorita’ americane nel 2003 e che non era stata trovata alcuna connessione tra la stessa e Al Qaeda. Nel 2006 Amnesty International la defini’ una delle tante scomparse nella guerra americana contro il terrore. Nel 2007 un rapporto del Ghost Prisoner Human Rights Watch ipotizzo’ che poteva essere segretamente detenuta dalla CIA.

Nel Febbraio 2008, la Commissione Asiatica dei Diritti Umani affermo’ che era stata portata a Karachi e severamente torturata per assicurarsi la sua condiscendenza come testimone del governo contro Khalid Sheikh Mohammed, la presunta mente dell’11 Settembre, collegato alla Siddiqui attraverso il matrimonio di un nipote di lui. Egli stando ai resoconti “l’avrebbe abbandonata” dopo essere stato a sua volta catturato l’1 Marzo 2003, dopo di che sia lei che i suoi bambini scomparvero.

Le accuse erano infondate e oltraggiose. Eppure il 2 Settembre 2008 il Dipartimento di Giustizia (DOJ) la accuso’ relativamente ai tentati omicidi e le aggressioni ai cittadini americani sia ufficiali che dipendenti: ”Stando a Michael Garcia, avvocato statunitense del Distretto Meridionale di New York (in quella stessa data, la stampa rilascio’): ”Il 18 Luglio 2008, una squadra di militari, ufficiali delle forze dell’ordine ed altri che li assistevano, tentarono di interrogare Aafia Siddiqui a Ghazni, in Afghanistan, dove era detenuta dalla polizia locale sin dal giorno precedente…ignara che dovesse subire il terzo grado, senza alcun modo per potersi difendere e da dietro una tendina- la Siddiqui riusci’ ad impossessarsi di uno dei fucili M-4 dell’esercito americano, tento’ di far fuoco, e vi riusci’, contro un ufficiale dell’esercito degli Stati Uniti e altri membri della squadra dell’interrogatorio…La Siddiqui poi aggredi’ una persona tra gli interpreti dell’esercito americano, siccome questi cercava di toglierle il fucile M-4. La Siddiqui successivamente aggredi’ uno degli agenti FBI e uno degli ufficiali dell’esercito americano, in quanto tentarono di assoggettarla.

Ma non si e’pero’spiegato come abbia potuto questa fragile donna di appena 50 chili, confrontata da tre ufficili dell’esercito americano, due agenti dell’FBI e due interpreti dell’esercito, in modo inspiegabile, riuscire ad aggredire tre degli stessi, impossessarsi di un fucile, fare fuoco a distanza ravvicinata, non colpendo nessuno e come alla fine ella risulto’ l’unica gravemente ferita.

Ecco il commento del suo avvocato, Elaine Whitfield Sharp: “Come e’ potuto succedere? E come si spiega che sia stata ferita? Penso che possiate da soli trovate le risposte piu’ logiche, non e’ vero (oltre che a rispondere alle oltraggiose accuse contro di lei).”

Durante la procedura legale, un’altra avvocatessa della difesa, Linda Moreno, affermo’ che nessuna prova legale aveva dimostrato che dal fucile che la Siddiqui aveva presumibilmente adoperato, fosse stato fatto fuoco, siccome ne’ proiettili, ne’ bozzoli o detriti di proiettili furono ritrovati, ne’ eventuali fori dei proiettili individuati.

Garcia non spiego’, ne’ del suo rapimento, della tortura, dei continui stupri alla prigione di Bagram, Afghanistan, dove, come prigioniero 650, era nota come ‘la triste lady di Bagram’ a causa delle urla udite per anni. Neppure discusse della sua distruzione fisica e morale. Ella rappresento’ una pedina nella guerra Americana al terrore, usata, abusata, adesso condannata, ad affrontare un’intera esistenza in carcere, una vittima della palese ingiustizia.

Alcuni antefatti

Un cittadino pakistano affermo’: “La Siddiqui e’ profondamente religiosa, ha frequentato MIT e l’Universita’ di Brandeis dove ha ottenuto un dottorato in Scienze Neurocognitive, sposata con un medico di Boston, raccoglieva denaro per beneficenza, svolgeva attivita’ di volontariato, distribuiva Corani ai detenuti nelle prigioni, non ha mai fatto nulla fuori dall’ordinario.”

Eppure il Times online inglese la defini’ “la donna di Al Qaeda”. Per l’ABC News fu “Mata Hari” e il Dipartimento di Giustizia la etichetto’ come una terrorista, una donna colpevole soltanto di essere Musulmana in America nel momento sbagliato.

Quando fu catturata, l’FBI affermo’ che ella rappresentava un potenziale tesoro di informazioni sui sospettati terroristi, sui simpatizzanti e spie in America ed oltreoceano. L’ufficile della CIA John Kiriakou la defini’: ”la cattura piu’ significativa degli ultimi cinque anni”, ed uno ufficiale anonimo del controterrorismo disse: ”e’ una persona molto pericolosa, nessun dubbio riguardo cio’”.Il Direttore dell’FBI Robert Mueller disse che ella era ”un’operativa e moderatrice di Al Qaeda”. Egli e gli altri mentirono.

Coloro che la conoscevano veramente la ricordano come una donna molto piccola, calma, educata, e timida, una donna che si nota appena in un gruppo di persone, ma che avrebbe detto cio’ che pensava quando era il caso. I suoi compagni di studio la descrivono come una donna che parlava pacatamente, studiosa, religiosa, ma ne’ estremista ne’ fondamentalista. Ella insegnava ai bambini musulmani di domenica, ed era sempre occupata ad aiutare i musulmani oppressi in tutto il mondo. Ella parlava pubblicamente, mandava emails, organizzava proiezioni di diapositive, e raccoglieva fondi come parte della sua fede, del suo attivismo e della sua sincerita’. Eppure fu etichettata come “rischio per la sicurezza” nonostante nessuna prova allora come adesso lo provi.

Aafia Siddiqui e’ innocente di tutte le accuse, eppure il Dipartimento della Giustizia (DOJ) affermo’ il suo coinvolgimento persino nella guerra biochimica o nel progetto di eventuali attacchi rivolti ad obiettvi newyorkesi, accuse mai apparse fra le imputazioni.

Il Processo e la condanna di Siddiqui

Contro il parere degli avvocati, ella preferi’ esporsi in prima persona al processo, nonostante i rischi e la fragile condizione. Ella spiego’ il suo lavoro accademico, l’ insegnamento post-dottorato, i suoi interessi che includevano lo studio delle capacita’ dei dislessici e altri bambini con diverse abilita’, poi racconto’ la sua terribile esperienza.

Dopo essere stata rapita, si senti’ disperata pensando a cosa ne sarebbe stato dei suoi figli. Spiego’ l’accaduto dell’episodio piu’ rilevante nel modo seguente:

- fu legata

- e poi slegata

- lasciata dietro una tendina

- spiata da dietro di essa; e

- un soldato americano le sparo’ nello stomaco;

- un altro al fianco;

poi fu violentemente gettata sul pavimento in stato di incoscienza.

Ella ricordava vagamente di essere stata posta su una barella, fatta salire in elicottero e di aver avuto una trasfusione di sangue. Nego’ categoricamente di aver puntato o fatto fuoco con un’arma.

Al controinterrogatorio affermo’ che le fu data la borsa con i documenti incriminanti, ella non ne conosceva il contenuto o se la grafia fosse la sua. Ella spiego’ le torture ripetute a Bagram, gli effetti delle forti medicine che le venivano date, e ad un certo punto disse: ”Se voi foste stati in una prigione segreta, o i vostri figli fossero stati torturati…” dopo di che fu portata via con la forza e il procedimento giudiziario continuo’ in sua assenza.

Stando ai servizi dei media, queste rivelazioni furono frutto meramente di scatti emotivi. Lo scrittore del New York Times CJ Hughes il 24 Gennaio riporto’: “numerosi scompigli affliggono il normale corso del processo. Lunedi (25 Gennaio) non fu un’eccezione: l’imputata fu espulsa dall’aula dalla corte – non una, ma due volte per avere proclamato ad alta voce la sua innocenza.” Il 19 gennaio ella “ebbe varii scoppi d’ira nelle precedenti apparizioni davanti la Corte, tanto da chiedersi se ella fosse in grado di sostenere il processo”.

4 Febbraio: Lo scrittore dell’AP, Tom Hays, affermo’: ”Aafia Siddiqui non c’e’ andata piano”. Defini’ i suoi commenti ”combattivi”. Poi affermo’ che la parte legale dell’Accusa presento’ una ”convincente testimoninza”.

5 Febbraio: L’Islamofobo Frontpagemag.com pubblico’ la seguente testata giornalistica: “Come una dolce ragazza americana diventa una jihadista” dicendo che ”le donne velate musulmane possono essere sanguinariamente aggressive.”

3 Febbraio: Il New York Daily News pubblico’ come testata giornalistica: ”La Signora di Al Qaeda Aafia Siddiqui giudicata colpevole di tentato omicidio”. Lo scrittore Alison Genda accetto’ le accuse del Dipartimento di Giustizia (DOJ) come fatti e ne aggiunse altre personali affermando:

“Ella afferro’ un fucile in una stazione di polizia afghana (ella era a Bagram) e inizio’ a sparare sugli americani mandati per sottoporla ad interrogatorio. Ella fu poi colpita dal soldato a cui aveva rubato l’arma”. (Nel 2008 ella fu) catturata in Afghanistan con 910 grammi di composti chimici velenosi.” (Durante il processo), ella interruppe le azioni giudiziarie diverse volte con ”strani scoppi d’ira”.

22 Agosto 2008: Il Fox News riporto’ che l’emails ottenute dal FoxNews.com mostrano messaggi mandati dalla Siddiqui (durante il periodo al MIT) atti a sollecitare raccolte di fondi per il Centro per i Rifugiati di Al-Kifah – un noto fronte caritatevole di Al Qaeda legato a Usama bin Laden e alle esplosioni terroristiche del 1993 al World Trade Center”.

Dopo un processo di sole tre settimane e due giorni di delibera, una giuria federale di otto donne e quattro uomini giudico’ l’imputata colpevole di tutte le accuse, incluso tentato omicidio, aggressione armata, utilizzo e possesso improprio di arma da fuoco durante un violento crimine, e di aggressione ad ufficiali ed impiegati degli Stati Uniti. Di conseguenza ella dovra’ potenzialmente passare tutta la vita in galera dopo la sentenza definitiva del 6 Maggio. Non e’ confermato, ma i suoi avvocati potrebbero appellarsi contro le false accuse, la lunga detenzione, e le torture brutali, che hanno lasciato soltanto l’apparenza esterna della donna di prima, sia fisicamente che emotivamente frantumata, e che non era in condizione neppure di assistere al suo processo.

Dopo il verdetto, aljazeera.net pubblico’ la testata giornalistica: ”il verdetto statunitense fa scoppiare la scintilla per le proteste pakistane”, affermando che migliaia di persone in diverse citta’ si erano radunate in sua difesa. I suoi parenti parlarono pubblicamente condannando la decisione della corte, sua sorella Fauzia disse: ”Siamo orgogliosi di esserle parenti. Il sistema giudiziario americano, la costituzione, la guerra al terrore, la frode della guerra al terrore, tutte queste cose hanno soltanto mostrato i loro orribili volti.”

Sua madre, Ismat, disse: ”Non mi aspettavo niente di meglio dalla Corte Americana. Eravamo pronti ad affrontare questo shock e continueremo la nostra battaglia affinche’ venga rilasciata.” Il portavoce del Ministro degli Esteri pakistano, Abdul Basit, ha detto che il Governo cerchera’ di farla rimpatriare in Pakistan: “faremo il possible e useremo tutti i mezzi possibili.”

Il corrispondente ad Islamabad di Al Jazeera, Kamal Hyder, racconto’ la delusione pubblica per il fallimento nel trovare una strada diplomatica per poterla come minimo riavere a casa, perche’ sentivano nei loro cuori che era innocente”. Ella era scomparsa per ben 5 anni come centinaia di altre persone scomparse dal Pakistan – per cui ancora non si ha alcuna spiegazione plausibile – ed ora che il caso della dottoressa Aafia era venuto fuori, sara’ molto probabilmente un motivo comune per alimentare il sentimento anti-americano.” Il portavoce di Cageprisoner degli Uk, Asim Qureshi, disse: ”Il caso di Aafia Siddiqui porta con se’ un grande significato in termini di abilita’ dell’amministrazione Obama di gestione della giustizia. Abbiamo gia’ assistito al rifiuto di guardare ai fatti della sua detenzione prima del 2008. Questo verdetto confermera’ soltanto cio’ in cui molti gia’ credono, che e’ impossibile per musulmani sospettati di terrorismo ricevere un processo equo negli Stati Uniti”.

L’avvocato della difesa, Elaine Whitfield Sharp, ha definito tale verdetto ingiusto, nella sua opinione ” basato sulla paura…non sui fatti” e l’unico risultato e’ l’esperienza continuata e traumatica di una donna innocente che si ritrova a dover potenzialmente affrontare una sentenza a vita.

Orchestrato con maestria, il processo si e’ andato sviluppando come numerosi altri, etichettando vittime innocenti soltanto a causa della loro fede, etnia, importanza, beneficenza, attivismo, o altre ragioni, per mero vantaggio politico, arrivando alla fine a convinzioni e incarcerazioni punitive contro imputati innocenti, colpevoli soltanto di essere musulmani in America in un momento sbagliato quando si e’ troppo vulnerabili.

In un clima manipolato di paura, lo stesso processo si ripete, usando accuse false, prove segrete, testimoni reclutati affinche’ cooperino, la difesa ha proibito l’introduzione di prove a discolpa , e il processo e’ stato attentamente manovrato per intimidare la giuria a dichiararne la colpevolezza.

La giustizia e’ di nuovo negata. Siddiqui un’altra vittima, una tragedia umana, ritratta dai media dominanti come una jihadista e indirizzando l’opinione pubblica a convenirne siccome le verita’ che disturbano vengono attentamente stroncate.

Stephen Lendman

Fonte: http://www.justiceforaafia.org/index.php/articles/articles/427-aafia-siddiqui-victimized-by-american-injustice

Tradotto da Cinzia Amatullah

Che Dio mi perdoni per qualsiasi imperfezione o errore amin

Prigionera 650

Comunicato stampa: Manifestazione di solidarietà ad Aafia Siddiqui

Comunicato stampa: Manifestazione di solidarietà ad Aafia Siddiqui – Londra: marcia dall’Ambasciata del Pakistan all’Ambasciata degli Stati Uniti d’America – 28 marzo 2010


PER IL RILASCIO IMMEDIATO di AAFIA SIDDIQUI

Per maggiori informazioni contattare:

info@justiceforaafia.org

LONDRA – Il 28 marzo 2010 ricorre il settimo anniversario del rapimento e dell’inizio della prigionia della dottoressa pakistana Aafia Siddiqui e dei suoi tre bambini.

Come parte dell’ondata di manifestazioni ed eventi che si svolgono in tutto il mondo, i manifestanti a Londra sfileranno dall’Ambasciata del Pakistan all’Ambasciata degli USA, in solidarietà con Aafia Siddiqui e la sua famiglia, chiedendo la sua liberazione e il suo rimpatrio in Pakistan.

Gli avvocati della dottoressa Siddiqui sostengono che sia stata sequestrata dalle autorità pachistane insieme ai suoi tre figli, e deportata in Afghanistan, dove è stata tenuta prigioniera dalle forze armate americane per oltre cinque anni. La dottoressa Siddiqui dichiara di essere stata stuprata e torturata durante la sua detenzione. La dottoressa Siddiqui è stata recentemente condannata per una presunta sparatoria contro soldati statunitensi nel corso della sua detenzione, in quella che sembra essere stato un grave fallimento della giustizia. Due dei suoi bambini risultano tuttora scomparsi.

Fahad Ansari, membro della Coalizione Giustizia per Aafia (Justice for Aafia Coalition – JFAC) ha detto:

“Il caso di Aafia Siddiqui riassume la brutalità e la natura oppressiva della “guerra al terrorismo”. Il semplice fatto che i bambini di Aafia, uno dei quali è cittadino americano, risultano tuttora scomparsi, mentre il governo degli Stati Uniti si rifiuta finanche di commentare il fatto, la dice lunga”.

JFAC London Solidarity Rally
2pm
Pakistan Embassy,
34-36 Lowndes Square
London SW1X 9JN

Tra i relatori figurano: Louise Christian, Moazzam Begg, Victoria Brittain, Omar Deghayes, Massoud Shadjareh, Sultanah Parvin e Shakeel Begg.

http://www.justiceforaafia.org

venerdì 26 marzo 2010

Yvonne per Aafia

Dichiarazioni di Yvonne Ridley (hafizahAllah) nel corso della sua visita in Pakistan

17 marzo 2010

Yvonne Ridley con il figlio e la sorella di Aafia Siddiqui

Sono venuta qui oggi per parlare ai partiti dell’opposizione al governo pakistano – e la sola opposizione che vedo sono i mass media vivaci, ambiziosi e indipendenti di questo grande paese.

Ad eccezione di Imran Khan, Tehreek e Insaf, Jamaat Islami e pochi altri, nessuno oltre ai media sembra preparato a sfidare realmente il governo Pakistano.

Ho sentito un gran numero di insulti pomposi, giuramenti e promesse dalle bocche dei ministri e di altri rappresentanti politici del governo pakistano su come faranno del loro meglio per riportare la dottoressa Aafia Siddiqui a casa.

Abdul Basit, un portavoce del Ministero degli Esteri pakistano, affermò di aver a cuore le condizioni di Aafia Siddiqui e che “l’obiettivo finale è di rimpatriarla in Pakistan e faremo tutto il possible e applicheremo tutti gli strumenti in nostro possesso a questo proposito.”

Ebbene, posso dirvi oggi che non hanno fatto niente – assolutamente zero per la figlia del Pakistan.
Lord Nazir Ahmed della Camera dei Lords Britannica è appena ritornato a Londra dall’America, (dove si era recato) per parlare con i senatori e coi membri del congresso americano relativamente alla triste condizione di Aafia.

Molti di coloro con i quali ha parlato non avevano mai sentito nominarla – inoltre, ha affernato che nessuno, non un solo membro del governo di Zadari, abbia mai chiesto ufficialmente il rimpatrio di Aafia.

Piuttosto hanno parlato pubblicamente e sono andati in TV a fare grandi, forti, virili promesse su come avrebbero fatto tutto quanto in loro potere per riportare Aafia a casa, ma in privato non hanno fatto niente e ci sono addirittura coloro che stanno diffondendo alcune notizie sui mass media contro di lei.

Adesso, non spetta a me fare nomi e mettere in imbarazzo, ma se devo smaschererò queste donnole, questi uomini senza onore, che stanno facendo peggio di niente per rimpatriare Aafia – alcuni stanno impedendo il suo ritorno. Perché?

Perché hanno paura della dr.ssa Aafia Siddiqui? Cosa sa? Cosa potrebbe dire?

Secondo il verdetto penale, uno degli avvocati difensori di Aafia Siddiqui, Elaine Sharp, ruppe il silenzio, quando disse: “Aafia Siddiqui ci ha detto che fu prelevata da uomini Pakistani in due automobili nere. Questi erano uomini dell’intelligence pakistana. ‘Sapete’ disse ‘L’ISI’.”

L’ISI, intelligence militare, chiunque sia – è tempo adesso di confessare riguardo ad Aafia e al resto delle persone pakistane scomparse, incluso Massod, il marito di Amina Janjua, e mille altri.

E questo messaggio è rivolto anche all’Ambasciatore statunitense, Anne Patterson – la quale sta al contempo manipolando e distorcendo i fatti riguardo al caso di Aafia e degli altri scomparsi.. In verità i servizi segreti americani l’hanno tenuta completamente all’oscuro della faccenda, ed ella non è nient’altro che un’operazione di facciata. Se vuole giocare a fare la Patsy, allora così sia.

Ci stiamo avvicinando all’ottavo anniversario del rapimento di Aafia dalle strade di Karachi, avvenuto nel marzo del 2003.

L’allora Ministro dell’Interno, Faisal Saleh Hayat, assicurò alla famiglia Siddiqui che sarebbe stata restituita entro pochi giorni, al massimo settimane, ma in cambio i familiari avrebbero dovuto rimanere tranquilli, e non dichiarare nulla, specialmente contro il governo e l’allora presidente Pervez Musharraf.

Nello stesso periodo, un investigatore privato di nome Shahid Qureshi presentò un rapporto scritto ai magistrati, riguardo alle accuse relative al rapimento, nel 2003, della dottoressa Aafia e dei suoi tre bambini.

In questi documenti scrisse che l’aggressione era stata effettuata da agenti segreti dell’FBI, senza autorizzazione né preavviso.

Penso che sia un dato di fatto che i servizi segreti non avrebbero fatto ciò senza la collaborazione dei loro ben pagati, corrotti amici dei servizi segreti pakistani, dell’ISI o dell’esercito.

Quindi, potete vedere che le ingiustizie contro Aafia non sono cominciate in America, ma nelle strade del suo stesso Paese – e nonostante quello che alcuni dei cagnolini americani vi diranno, Aafia è una cittadina Pakistana, non Americana.

Anche se è stata sotto custodia statunitense più del tempo di cui la maggior parte della gente ha bisogno per ottenerne la cittadinanza; probabilmente, ormai ha ottenuto il diritto di avere un passaporto americano.

Ora sappiamo che Aafia fu rinchiusa a Bagram per anni – e adesso voglio sfidare Anne Patterson ad osare darmi della bugiarda.

E mi rivolgo alla Croce Rossa internazionale: Vi sfido a rompere il vostro silenzio e a rivelare ciò che sapete circa la Signora in Grigio di Bagram, nota anche come Prigioniero 650.

Se sono una bugiarda oppure fantastico, dimostratelo.

E, per la cronaca, voglio che sappiate che io non sono né anti-pakistana né anti-americana, ma ritengo che l’indole di alcuni politici qui e negli USA sia vergognosa. Ritengo che i decorosi cittadini normali, Pakistani e Americani, dovrebbero essere sconvolti se sapessero cosa veniva fatto esattamente in loro nome.

So che molti di voi sono rimasti impressionati quando il governo Pakistano ha fatto la mossa senza precedenti di farsi avanti e pagare due milioni di dollari per la squadra di avvocati che difende Aafia.

Ma ciò che accadde dopo può chiarirci la motivazione di questo gesto generoso. Il governo del Pakistan è diventato il cliente, quindi la famiglia di Aafia ha smesso di essere informata dagli avvocati, che rispondono direttamente al governo.

Ciò significa che gli avvocati ricevono istruzioni dal cliente – un cliente che prima di tutto sembrerebbe essere colpevole tanto quanto gli Americani della scomparsa di Aafia.

Questi avvocati hanno fatto tutto quanto era in loro potere per impedire ad Aafia di fornire le prove – lo stesso giudice ha chiarito perfettamente di non essere interessato a dove si trovasse Aafia dal 2003… e ha veramente dimostrato il suo disprezzo per i mass media pakistani, buttandoli fuori da un’aula sovraffollata, introducendo un sistema di apartheid in un tribunale Americano.

Era del tutto evidente che Aafia non avrebbe ricevuto giustizia, nonostante tutte le prove scientifiche e medico-legali fossero dalla sua parte.

La verità è che non avrebbe mai dovuto esserci un processo, perché era illegale.

Come può una pakistana, sospettata di aver commesso crimini in Afghanistan, essere portata in giudizio negli Stati Uniti? Non era stata legalmente estradata negli Stati Uniti, vi era stata deportata.

Nessun altro era mai stato portato in giudizio in America per un crimine commesso in un altro paese – perché in questo caso sì?

Infine, è chiaro che il pubblico ministero degli Stati Uniti non ha finito con Aafia. Ella si trova ora in isolamento totale, e non ha avuto alcun contatto con suo fratello Mohammed né prima né dopo il processo.

È completamente isolata e si teme che possa essere interrogata di nuovo. Vi è in atto un tentativo per cercare di affibbiarle il marchio di terrorista, qualcosa che non sono riusciti a fare durante il procedimento penale appena conclusosi. Davvero non so quanto tempo questa povera donna possa ancora resistere.

Tutto quello che so è che dobbiamo salvarla dalla prigionia statunitense – e riportarla a casa perché possa riabbracciare suo figlio… un figlio, tra l’altro, che ella non riusciva a riconoscere quando lo reincontrò a Ghazni.

E dove sono gli altri due bambini – Maryam, e non dimentichiamo il piccolo Sulyman? A differenza di suo fratello e di sua sorella, che hanno la cittadinanza statunitense, Sulyman è un Pakistano, ma non per questo la sua vita vale di meno. Ciò non lo rende privo di valore, o di minor valore.

Non dimentichiamo il piccolo Sulyman.

Quindi, in conclusione, possiamo trovare alcuni leader politici provvisti di spina dorsale, che si mettano in contatto con il governo americano e chiedano direttamente il rimpatrio di Aafia.

Avrebbe dovuto essere restituita per i seguenti motivi:

1) Il processo si è svolto all’interno di una giurisdizione del tutto sbagliata. Se la storia che gli Americani hanno presentato fosse vera, perché Aafia non è stata processata per crimini di guerra in Afghanistan e cosegnata alla giustizia afghana? Il reato di sparare contro soldati statunitensi è significativamente inferiore ad un tentato attacco suicida contro un governatore con un bambino soldato a rimorchio! Avrebbero dovuto processarla per questi crimini negli Stati Uniti.

2) Anche se la storia della sparatoria fosse vera, perché è stata deportata dal paese in cui si trovavano tutte le prove? Avrebbe dovuto restare in Afghanistan, dove la sua squadra di avvocati avrebbe potuto avere più facile accesso alle prove e alle testimonianze.

3) Come nemico combattente donna, perché è stata trasferita negli Stati Uniti? È diventata così la prima persona priva di nazionalità USA ad essere trasferita negli Stati Uniti in una simile circostanza.

La verità è che questo processo non avrebbe mai dovuto aver luogo dal punto di vista giuridico. La maggior parte degli avvocati con cui ho parlato ritengono che il caso non avrebbe dovuto proseguire a New York – per i motivi suesposti avrebbe dovuto essere archiviato.

SOURCE: FreeAafia.org

Jazakillahu khayran ukhti Hannah

giovedì 25 marzo 2010

Aafia Siddiqui: Rapita coi suoi tre bambini, torturata per 5 anni a Bagram, deportata negli Usa per un processo-farsa

بسم الله الرحمن الرحيم
Nel Nome di Allah, il sommamente Misericordioso, il Clementissimo

Aafia Siddiqui, nata a Karachi, in Pakistan, il 2 marzo 1972, è una dei tre figli di Mohammad Siddiqui, un medico laureato in Inghilterra, e di Ismet. È madre di tre bambini.
Aafia si recò in Texas nel 1990, per raggiungere suo fratello, e dopo aver studiato per un anno all’università di Houston si trasferì al MIT. Sposò poi Mohammed Amjad Khan, uno studente di medicina. Si laureò alla Brandeis University prima di conseguire un dottorato al Massachusetts Institute of Technology.
A causa delle difficoltà, per i Musulmani, di vivere negli Usa dopo l’11 settembre, Aafia e suo marito tornarono in Pakistan.
Essendo sopraggiunti dei problemi coniugali, Aafia e il marito divorziarono quando la donna si trovava all’ottavo mese di gravidanza del suo terzo bambino. Aafia e i bambini andarono a vivere nella casa della madre di lei.
Dopo aver dato alla luce il suo terzo figlio, Aafia rimase a casa di sua madre per il resto dell’anno, poi decise di ritornare negli Usa con i bambini, intorno al dicembre 2002, per cercare lavoro nell’area di Baltimora, dove sua sorella aveva trovato un impiego al Sinai Hospital.
Quando gli Americani catturarono Khalid Sheikh Mohammad, Aafia e i suoi bambini scomparvero. Un articolo sulla stampa pakistana in lingua Urdu sostenne da subito che la donna e i bambini erano “sotto custodia” delle autorità pakistane; in altri termini: rapiti.
Secondo quanto riportato da diverse associazioni per la difesa dei diritti umani, si stima che il presidente pakistano Musharraf abbia venduto, dall’inizio dell’aggressione contro l’Afghanistan, almeno 600 persone sospettate di terrorismo alla Cia.
Come raccontano i familiari, Aafia, insieme ai suoi tre bambini, lasciò la casa materna, a Gulshan-e-Iqbal, il 30 marzo 2003; dovevano prendere un volo per Rawalpindi, ma non raggiunsero mai l’aeroporto. Fonti che preferiscono mantenere l’anonimato dichiarano che Aafia fu rapita dai servizi segreti, e consegnata nelle mani di agenti americani.
Aafia Siddiqui era scomparsa da più di un anno, quando l’FBI (che già la deteneva illegalmente con i figli nel centro di tortura di Bagram, in Afghanistan) aggiunse ipocritamente le sue fotografie nella lista dei “most wanted”, i più ricercati del pianeta, per presunti legami con Al-Qa’ida.
La stampa al servizio della disinformazione, in seguito ad una conferenza dell’FBI, montò una storia, sostenendo che la scienziata sarebbe stata addirittura al centro di un traffico di diamanti in Liberia, nel 2001. Ma l’avvocata della famiglia possiede dei documenti che provano come Aafia si trovasse a Boston proprio la settimana in cui – secondo la ricostruzione fasulla – avrebbe dovuto essere in Liberia a trafficare diamanti.
Improvvisamente, martedì scorso, Aafia è “ricomparsa” dinanzi ad un tribunale di New York, per rispondere dell’accusa di “tentato omicidio e aggressione” nei confronti di agenti americani. Rischia 20 anni di prigione.
Ma come è arrivata negli Usa?
Secondo la versione fornita dai mass media al servizio della disinformazione, L’Fbi sostiene di non aver avuto tracce della Siddiqui dal momento della “scomparsa”, nel 2003. Il capo di imputazione che la incrimina per terrorismo e tentato omicidio, parla di un arresto il 17 luglio a Ghazni, in Afghanistan. La donna sarebbe stata bloccata dalla polizia locale: sarebbe stata trovata in possesso di documenti sulla preparazione di esplosivi. La Siddiqui, per l’Fbi, avrebbe anche avuto con sé liquidi e gel non meglio precisati e descrizioni di edifici di New York.
Il giorno dopo, 18 luglio, secondo gli atti presentati alla Corte federale del Southern District, a Manhattan, due agenti dell’Fbi, due ufficiali dell’Esercito Usa e due traduttori si sarebbero recati a interrogare la donna a Ghazni. Nella stanza degli interrogatori, la donna sarebbe riuscita a impossessarsi del mitragliatore M-4 di uno dei militari e, gridando «Allahu Akbar», lo avrebbe puntato sugli agenti. Un interprete sarebbe riuscito a deviare l’M-4 mentre la donna apriva il fuoco e un militare le avrebbe sparato “per legittima difesa”. La Siddiqui sarebbe stata ferita al torace, ma non gravemente.
Ma la versione fornita dai familiari della sorella è drammaticamente diversa: in realtà, Aafia è stata prigioniera per anni nella base americana di Bagram, in Afghanistan. «Le torture e gli stupri a cui l’hanno sottoposta negli ultimi 5 anni sono crimini che superano tutti quelli che le imputano», ha detto la sorella di Aafia, Fauzia, ai giornalisti di Karachi, durante una conferenza stampa. Anche un’avvocata che assiste la Siddiqui a New York, Elaine Whitfield Sharp, ha dichiarato: “Sapevamo da molto tempo che Aafia si trovava a Bagram. Molto tempo. La mia cliente ha dichiarato di avervi trascorso degli anni, sotto custodia americana; il trattamento riservatole è stato orribile”.
L’avvocata ha particolarmente insistito sulle condizioni di salute di Aafia. In particolare, dopo essere stata colpita, non ha ricevuto cure mediche appropriate e la ferita si è infettata. La donna è estremamente debole, eppure le vengono negate le visite a cui avrebbe diritto.
Perfino i contatti tra l’avvocata e la sua cliente sono stati problematici. Si sono parlate soltanto in una cella, con un vetro a separarle, e l’unico contatto possibile è stato attraverso la porticina per passare il cibo. Come dice l’avvocata: “Dovevamo parlare a voce bassa, coscienti di essere videoregistrate. In questa situazione, mi è stato impossibile comunicare con la mia cliente”.
Aafia e i suoi bambini sparirono nel 2003. Il secondo marito di Aafia si trova anch’egli, secondo quanto riferito dagli Usa, detenuto per “terrorismo”, a Guantanamo…
L’FBI estorse il nome di Aafia a Khalid Sheikh Mohammad sotto tortura.
Cosa è successo ai bambini??? Il più piccolo, al momento della cattura era un neonato di 9 mesi, il più grande, Ahmed, aveva 7 anni. La famiglia di Aafia non ha mai più avuto alcuna notizia di loro.
Secondo quanto riferito dal sito Cageprisoners, Ahmed, che oggi ha soltanto 12 anni, è detenuto illegalmente in Afghanistan, ora senza più nemmeno sua madre, nonostante la sua cittadinanza americana.
Gli Usa rifiutano di liberarlo e di riaffidarlo in custodia ai suoi parenti, in Pakistan. Cosi come rifiutano di fornire informazioni relative ai suoi due fratellini rapiti…

YÂ MU’TASIMA!!!
Assalamu ‘alaykum waRahmatullah
riportiamo di seguito un articolo sulla nostra sorella Aafia Siddiqui, dal quotidiano il manifesto del 13.08.08

È il lato oscuro degli Usa
Ferita e in catene, la «prigioniera 650» alla sbarra a New York

JOHN ANDREW MANISCO/LUCIO MANISCO

«The Dark Side», «Il Versante Oscuro» di Jane Mayer, pubblicato il mese scorso negli Stati Uniti, documenta le violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale, l’abrogazione del «Bill of Rights» e delle garanzie costituzionali perpetrate dall’amministrazione Bush dopo l’11 settembre sotto l’egida della lotta al terrorismo. Il titolo richiama la minacciosa battuta del vicepresidente Dick Cheney subito dopo l’attentato alle Torri gemelle: «Ora l’America dovrà entrare nel versante oscuro della sua storia».

In tribunale ferita e in catene
Abbiamo quindi avuto la guerra dell’Afghanistan e all’Iraq, Abu Grahib, Bagram, Guantanamo, la tortura istituzionalizzata sotto diverso nome dagli editti della Casa Bianca e il trasferimento segreto in carceri straniere dei sospettati di terrorismo a opera della Cia. Ma il dramma su cui si è levato il sipario il 5 agosto in un aula del tribunale federale del distretto di Manhattan sta rivelanto quanto tenebroso sia stato quel «versante» e quanto inarrestabile per disumanità sia stata «la discesa all’inferno degli Stati uniti d’America», nelle parole dell’avvocato Elizabeth Fink.
Davanti al giudice Ronald L. Ellis è stata portata una donna pakistana in catene di 36 anni, ferita alle spalle da due colpi di arma da fuoco, macilenta, tremante e in stato di choc: risponde al nome di Aafia Siddiqui. Non è un nome nuovo alle cronache dell’antiterrorismo. L’ex ministro alla giustizia John Ashcroft la identificò nel 2004 come militante di Al-Qaida, latitante, coinvolta nell’attentato alle Due Torri e in altri complotti terroristici negli Stati uniti. Un breve profilo diffuso dal Fbi la descriveva come «nota scienziata» laureata in neurologia al Massachussetts Institute of Technology e alla Brandeis University negli Stati uniti, e madre di tre figli. La notizia della sua latitanza era stata apparentemente falsificata per motivare lo stato d’«allarme giallo» proclamato da Ashcroft: in realtà Aafia Siddiqui era stata catturata insieme ai tre figli a Karachi dai servizi segreti pakistani nel marzo 2003 e consegnata a personale militare statunitense che l’aveva trasferita nella famigerata prigione all’interno della base di Bagram, in Afghanistan. La notizia del suo arresto era stata data dalle autorità pakistane, non era stata confermata da quelle americane che avevano mantenuto il silenzio assoluto fino ad una clamorosa smentita diramata lo scorso mese. E’ stata questa smentita a provocare una vera e propria crisi diplomatica tutt’ora in corso tra Islamabad e Washington. Diverse fonti negli ultimi cinque anni hanno attestato in termini terrificanti la sua presenza come «prigioniera numero 650» in quello diventato tristemente famoso come «il dipartimento torture» del carcere di Bagram. Imram Khan, l’ex campione pakistano di cricket presentatosi poi come candidato alla presidenza contro Musharraf, l’ha chiamata «la signora in grigio», «quasi un fantasma, uno spettro le cui urla e i cui pianti continuano a tormentare i sonni di chi li ascoltò». Un detenuto riuscito ad evadere raccontò poi ad una stazione televisiva araba di avere visto più volte la donna mentre veniva trascinata in catene da soldati americani lungo un corridoio che portava alle latrine del carcere, «poi la riportavano nella sua cella e lei sembrava impazzita, piangeva e batteva freneticamente i pugni sulla porta».

«Torturata per cinque anni»

La sorella Fauzia residente a Karachi ha dichiarato: «E’ stata violentata e torturata per cinque anni, non sappiamo nulla del destino dei suoi tre figli. Si tratta di un crimine inaudito, peggiore di qualsiasi altro crimine di cui possa essere stata mai accusata». Nel tribunale di Manhattan il pubblico ministero Christopher L. Lavigne ha ribadito dal canto suo il 5 agosto, che «la signora Siddiqui fino al 22 luglio scorso, data del suo arresto, non era stata mai detenuta dalle autorità americane», ma la versione da lui fornita sulle circostanze della sua presunta cattura due settimane fa non è solo inverosimile ma sfida qualsiasi logica. Dunque Aafia Siddiqui sarebbe stata arrestata davanti ad una stazione di polizia afghana e trovata in possesso di alcune fiale di sostanze chimiche sospette, di una lista di bersagli «sensibili» negli Stati uniti e del «manuale anarchico per la fabbricazione di bombe». Nessuna spiegazione fornita del perché una scienziata laureata in neurologia, nota per il suo estremismo islamico, passeggiasse con questo materiale nella borsetta davanti ad un commissariato di polizia. Più incredibile il prosieguo della versione del pubblico ministero: due agenti del Fbi, due militari americani e due interpreti si presentano in una sede governativa per interrogare la donna e non si acorgono che lei si trova dietro una tenda da cui esce urlando «Allah è grande»; impadronitasi di un fucile mitragliatore appoggiato sul pavimento da un militare Usa, apre poi il fuoco senza colpire nessuno. Viene a sua volta abbattuta con due colpi di pistola automatica calibro nove da uno degli interpreti. L’avvocato difensore Elizabeth Fink indica la donna gracile che non pesa più di quaranta chili, seduta in evidente stato di choc con un velo scuro sul capo e ammanettata nell’aula del tribunale e chiede al giudice: «Questa storia è palesemente assurda: lei come fa a crederci?». Arriva secca la replica del magistrato: «Non ho alcun motivo per dubitare dell’informazione fornitami dalla pubblica accusa». Vengono quindi respinte la richiesta di rilascio in libertà provvisoria e l’esigenza di cure speciali per le ferite riportate.

Oro colato, la versione ufficiale

Il giorno dopo i quotidiani britannici Guardian e The Independent dedicano intere pagine al caso di Aafia Siddiqui e si chiedono perché mai l’imputata non sia andata a finire a Guantanamo come «combattente nemica» e sia stata invece incriminata a New York per tentato omicidio di militari statunitensi, un reato punibile con sei o sette anni di reclusione. Più stringato e asettico il resoconto del New York Times che si limita ad osservare come altri casi di terrorismo siano stati affrontati da normali tribunali quando le prove di reati minori rendevano più certe le condanne. Nessuna menzione sul quotidiano newyorchese delle torture inflitte alla Siddiqui, in quanto vengono accolte come oro colato le smentite governative.

Jazakillahu khayran a Khadijah, che attraverso Kelebek ci trasmette i links di due petizioni per ottenere inshaAllah la liberazione della sorella Aafia Siddiqui e dei suoi bambini:

Cageprisoners.com – serving the caged prisoners in Guantanamo Bay

Appeal for the Release of Dr. Afia Siddiqui & Her 3 Children Petition

Jazakillahu khayran anche a Noura, che segnala la storia di Aafia al sito dei bambini scomparsi:

Bambini Scomparsi – Troviamo i Bambini

Allah ci basterà, Egli è il Migliore dei Protettori

Per scriverle:

AAFIA SIDDIQUI 90279-054 36

MDC BROOKLYN

METROPOLITAN DETENTION CENTER

P.O. BOX 329002

BROOKLYN, NY 11232

Per inviarle del denaro:

Federal Bureau of Prisons

AAFIA SIDDIQUI

90279-054 36

Post Office Box 474701

Des Moines, Iowa 50947-0001

Per firmare la petizione per la sua liberazione:

Justice for Aafia Siddiqui Petition

Jazakumullahu khayran di diffondere questa campagna inshaAllah, attraverso siti, blog, mailing lists, ecc…

L’intrigante caso della dottoressa Aafia Siddiqui – di Yvonne Ridley

بسم الله الرحمان الرحيم

Il Governo pakistano ha ricevuto l’ordine di assicurarsi del rilascio della scienziata, dottoressa Aafia Siddiqui, attualmente detenuta negli Stati Uniti.

L’Alta Corte di Islamabad ha emesso la rivoluzionaria sentenza, con un’azione accolta con favore dalla sua famiglia, dai suoi sostenitori e da tutti coloro che desiderano vedere che giustizia sia fatta nei confronti di una donna che è stata intrappolata in una esistenza infernale negli ultimi sei anni.

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Sorelle pakistane manifestano per Aafia

Tuttavia, non tutti sono felici che il giudice Raja Saeed Akram abbia ordinato al Governo di adoperarsi per riportare a casa Aafia.

Come ho scoperto pochi giorni fa, durante una visita in Pakistan, sembra che il suo ex marito, il dottor Mohammad Amjad Khan, si stia impegnando contro la madre dei suoi tre figli.

In un’intervista esclusiva concessa al giornalista di Karachi Aroosa Masroor, di “The News”, il dr. Khan ha dichiarato che molte delle affermazioni a proposito di Aafia, propagate per guadagnare il sostegno e la simpatia del pubblico, sarebbero false.

Perché abbia scelto di rompere il suo silenzio, dopo sei anni, non è immediatamente evidente… a meno che non facciate vostra la folle teoria secondo cui egli sarebbe stato determinante nell’arresto e nella scomparsa di sua moglie.

Naturalmente, sarebbe oltraggioso e diffamatorio suggerire che il dr. Khan fosse coinvolto, e io certamente non ho prove per ipotizzare altrimenti, ma quello che mi intriga è il motivo per cui quest’uomo voglia giudicare e deliberatamente fuorviare il pubblico, come ha fatto nella sua prima intervista.

Non sono sicura di quali siano le sue motivazioni, ma in una conferenza stampa che ho tenuto al National Press Club di Islamabad questa settimana, ho lanciato una sfida al dr. Khan, perché fornisca le prove, oppure taccia.

Nella sua intervista del 18 febbraio, ha dichiarato: “Il rilascio di Aafia non puo’ essere garantito dalla diffusione di storie basate sulla falsità e l’inganno”, continuando poi a mentire in modo cosi’ palese che non posso rimanere più a lungo in silenzio, ed ecco perché.

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Egli sostiene che la fotografia di Aafia, accasciata su un fianco con gli occhi chiusi, fosse un’immagine ingannevole, scattata da sua sorella Fowzia anni fa. Si lancia perfino a fornire minuziosi dettagli, che spiegherebbero la sua bocca ferita, dichiarando che il labbro superiore di Aafia fu tagliato da una bottiglia di latte accidentalmente.

Fowzia, dice lui, lo avverti’ a quell’epoca che, se egli avesse provato a divorziare da Aafia, lei avrebbe usato quell’immagine contro di lui, accusandolo di essere un marito violento. “Fu fatto sembrare nella foto che Aafia fosse stata gravemente ferita. Oggi, la stessa immagine viene diffusa sui mass media per affermare che Aafia è stata torturata per anni a Bagram”, afferma nell’intervista rilasciata a “The News”.

Non vi è alcuna esitazione in tale affermazione – egli è assolutamente certo dell’origine di “questa immagine”. Ebbene, anch’io sono sicura riguardo alle origini di “questa immagine”, poiché essa è stata prelevata dall’ufficio del Governatore di Ghazni nel luglio del 2008.

Come lo so? Perché è stato lo stesso governatore a dirmelo, e poi mi ha mostrato delle copie di questa e di altre immagini scattate ad Aafia il giorno del suo arresto, che egli conservava nel suo computer portile. Se si esamina questo inedito filmato girato dal regista Hassan al Banna Ghani, che mi ha accompagnata nelle mie indagini in Pakistan e in Afghanistan l’anno scorso, le origini di questa immagine risultano chiarissime.

Questo è il motivo per cui mi sono alzata in piedi durante una conferenza stampa, pochi giorni fa, chiamando il dottor Khan un bugiardo, e invitandolo poi a perseguirmi “in un tribunale di sua scelta” per calunnia e diffamazione. In quanto giornalista, comprendo la gravità di una tale affermazione, e non la pronuncio con leggerezza, ma penso quello che dico, e dico quello che penso.

Nel frattempo – caro lettore – lascero’ che tu possa giudicare da solo riguardo alla fotografia della dottoressa Aafia.

Puo’ darsi che tu abbia una teoria personale sul perché il suo ex marito abbia mentito. Ecco il filmato:
http://www.youtube.com/watch?v=nBhseSkNX68

Il divorzio è stato, senza dubbio, un’esperienza molto amara per entrambe le parti, cosi’ come lo sono la maggior parte dei divorzi. L’amarezza potrà accompagnarlo per tutta la vita, ma alla fine della storia la dott.ssa Aafia è la madre dei suoi tre figli, e come tale merita il suo sostegno e il suo rispetto.

Se non glieli puo’ dare, allora consiglio al dott. Khan di tornarsene nell’ombra e di smettere di fare dichiarazioni contro sua moglie.

Aggiungere dettagli a proposito del suo matrimonio fallito con la dott.ssa Aafia non servirebbe a nulla, sebbene io debba chiedermi perché il dott. Khan firmo’ un accordo legale in base al quale la custodia dei tre figli fu affidata ad Aafia dopo la loro separazione, se davvero egli pensa che sua moglie fosse (come ritrae nell’articolo) “una violenta, instabile donna sotto il dominio dei jihadisti”.

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Ahmed, il figlio tredicenne di Aafia (qui con la zia materna Fowzia), è stato riconsegnato dall’Afghanistan alla sua famiglia in Pakistan nel settembre 2008, a cinque anni dalla scomparsa. I suoi due fratellini, Marium e Suleiman, risultano ancora dispersi

Nel frattempo, due dei figli della dott.ssa Aafia ( Marium, che adesso ha 10 anni, e Suleiman di 6 – risultano ancora dispersi.

Probabilmente è qualcosa che dovrebbe colpire ogni genitore, ma il dott. Khan afferma con indifferenza: “Sono sicuro che si trovino intorno a Karachi, e in contatto con la loro famiglia materna, cosi’ come Aafia e i bambini sono stati visti intorno a casa loro, qui e a Islamabad, in diverse occasioni, fin dalla loro presunta scomparsa nel 2003. Puo’ darsi che vivano sotto false identità, come avevano vissuto Aafia e Ahmed (Come Saliha e Ali Ahsan) per cinque anni, prima che fossero arrestati”.

Egli afferma che la dichiarazione della dott.ssa Fowzia, secondo cui i bambini sono scomparsi dopo essere stati trasferiti dalla prigione di Bagram in Afghanistan, “potrebbe essere un tentativo per attirare la simpatia del governo e della gente, e distrarre l’attenzione dalla vera localizzazione”.

Egli cerca anche di gettare acqua fredda sulle dichiarazioni secondo cui Aafia fu detenuta dalle forze statunitensi, anche nella prigione di Bagram, per 5 anni. Ma cosa sa costui veramente?

Io, al contrario, ho le dichiarazioni di testimoni oculari, secondo cui la donna nota come Prigioniero 650 che è stata detenuta a Bagram per 5 anni altri non è che la dott.ssa Aafia Siddiqui.

Anche le autorità statunitensi, dopo mesi di smentite, finalmente concordano con le mie dichiarazioni, ammettendo che il Prigioniero 650 fosse davvero una detenuta di sesso femminile sotto la loro custodia.

La sola disputa che continua a dividerci è l’identità del Prigioniero 650. Le autorità statunitensi dichiarano che non fosse Aafia, ma rifiutano di dire chi fosse e a quale Paese sarebbe stata restituita.

Io, d’altra parte, possiedo ora un’intervista-testimonianza rilasciata liberamente dall’ex detenuto di Guantanamo, Binyam Mohamed, che conferma che il Prigioniero 650 e la dott.ssa Aafia Siddiqui sono la stessa persona. Quest’uomo la vide durante il tempo da lui trascorso a Bagram, e l’ha riconosciuta. La prova da lui fornita è, a mio parere, irrefutabile.

Ancora una volta, esprimete il vostro parere esaminando l’intervista a Binyam Mohamed, attraverso questo link:

http://www.presstv.com/programs/player/?id=90350

Vengo ora a sapere che il processo contro Aafia sta per essere sottoposto alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja e che il Governo del Pakistan si sta adoperando seriamente sulla questione.

Nel frattempo, il processo contro Aafia riprenderà a New York a fine mese, dopo che uno psicologo e un medico avranno presentato le loro relazioni riguardo alla sua salute, e abbiano deciso se ella sia in grado di difendersi.

L’udienza è, di per sé, illegale, e non so come potrà proseguire. Io dico che, per cominciare, Aafia è dopotutto una cittadina pakistana che viene processata per un reato che si presume commesso in Afghanistan. Sta subendo un processo in America soltanto perché è stata gettata su un “rendition flight” verso l’America – e non è stata certamente estradata.

Yvonne Ridley

9 giugno 2009

http://yvonneridley.org/yvonne-ridley/articles/the-intriguing-case-of-dr-aafiya-siddiqui.html

Yvonne Ridley è una sostenitrice dell’organizzazione per i diritti umani Cage Prisoners, e lavora come giornalista radiofonica.

Il suo settimanale di attualità “The Agenda” va in onda ogni venerdi’ sera alle 19.05 (GMT) su Press TV.

Riferimenti a questo articolo:

Intervista a Binyam Mohamed: http://www.presstv.com/programs/player/?id=90350

Intervista al Governatore di Ghazni: http://www.youtube.com/watch?v=nBhseSkNX68

Intervista a The News: http://www.thenews.com.pk/print3.asp?id=20404

“Se vi avessero rinchiusi in una prigione segreta, e i vostri bambini fossero stati torturati…”

بسم الله الرحمان الرحيم

Aafia Siddiqui, rapita con i suoi tre bambini nel 2003, mentre si stava recando all’aeroporto di Karachi, imprigionata e torturata per 5 anni a Bagram, deportata illegalmente negli Usa dopo essere stata ferita, e’ stata oggi condannata per tentato omicidio da un tribunale di New York. Gli agenti della Cia suoi aguzzini sostengono infatti che la scienziata pakistana si sarebbe impadronita di uno dei loro fucili aprendo il fuoco…

Due dei suoi bambini risultano tuttora scomparsi. Il terzo, Mohammad Ahmad (nella foto qui sopra), restituito al Pakistan dalle autorita’ afgane nel 2008, vive oggi con sua nonna e una zia a Karachi, dove la polizia ha aperto lo scorso dicembre un’inchiesta sul “rapimento di Aafia Siddiqui da parte di sconosciuti”, secondo quanto riferito da Niaz Khoso, un alto responsabile della polizia di Karachi.

Secondo quanto riferito dall’AFP, egli ha dichiarato di aver raccolto la testimonianza del tredicenne: “Ci ha detto che degli uomini avevano intercettato il taxi che li conduceva all’aeroporto di Karachi e li aveva catturati”, ha detto. Mohammad Ahmed aveva all’epoca 6 anni.

“Ci ha detto che lo addormentarono, e che si risveglio’ in una prigione per bambini a Kabul, dalla quale lo liberarono delle organizzazioni per i diritti umani nel 2008, consegnandolo alle autorita’ pakistane”.

“…E non importa quante minacce o intimidazioni verranno utilizzate nel tentativo di impedire a me o altri come me di rivelare la verita’, noi continueremo a chiedere giustizia e a lottare per questa giustizia per tutto il tempo che sara’ necessario…”

Yvonne (Siddiqa) Ridley (jazahAllahu khayran)

Il resoconto dettagliato del processo su Cageprisoners (jazahumullahu khayran)

Ma altri detenuti sentivano proprio una donna, che gridava mentre la torturavano, nella cella vicina…

بسم الله الرحمان الرحيم

Le autorità USA hanno sempre negato di avere una detenuta donna a Bagram. Ma altri detenuti sentivano proprio una donna, che gridava mentre la torturavano, nella cella vicina. Non conoscevano il suo nome, solo il numero con cui la sentivano chiamare dai torturatori: 650…

… Grazie a Silvia, una parola di verita’ per Aafia >>>


NO MORE LIES: Truth4Justice>>>>>>>>>

Una lettera della sorella Aafia Siddiqui (che Allah la liberi e le restituisca i suoi bambini, amin)

بسم الله الرحمان الرحيم


“Oh mia Ummah Insensibile”

Sono la dottoressa Aafia, sono laureata al Massachussetts Institute of Technology (USA), ho tre figli e l’obiettivo di aiutare la mia nazione con la mia formazione di alto livello, e vi sarei molto grata per il vostro aiuto.

Sono stata rapita nel mio stesso Paese dai miei stessi fratelli, e venduta all’America. Sono stata picchiata, stuprata, torturata, ancora e ancora, sotto il nome di Prigioniero 650. Ho pregato per il mio Muhammad ibnu Qasim, per ogni secondo degli anni trascorsi in prigione, in un Paese Islamico, l’Afghanistan.

Sono la sorella di un quinto della popolazione del mondo musulmano. La mia nazione è storicamente famosa per la difesa e nella tutela dei diritti dei suoi cittadini, fin dal principio. ‘Umar (ibn al-Khattâb) disse: “Se un cane muore vicino al fiume Arafat, ‘Umar ne sarà responsabile nel Giorno del Giudizio”.


Al momento non posso camminare per conto mio, uno dei miei reni è stato rimosso, una pallottola mi ha colpito al petto, mi è stata negata qualsiasi assistenza medica e legale e non sono sicura se sopravviverò oppure no.

Vorrei revocare il mio statuto di sorella. Io sono una fiera Musulmana, seguace del Profeta Muhammad (sallAllahu ‘alayhi waSallam), sorella di Abu Bakr, ‘Umar, ‘Uthmân e ‘Ali (radiAllahu ‘anhum), dei Compagni (del Profeta) e dei loro veri seguaci. Non voglio essere vostra sorella.

Essi sono i miei protettori ed io chiederò l’aiuto di Allah, non il vostro.

Non voglio essere pakistana; il Pakistan ha 600.000 soldati e forze speciali, ma non sono in grado di proteggermi, avevano giurato di proteggermi, ma si sono rifiutati di farlo quando avevo bisogno del loro aiuto. La mia cosiddetta Ummah musulmana ha milioni di soldati, cannoni e carri armati. Armi automatiche, aeroplani da combattimento, sottomarini, ma ancora non sono riusciti a salvarmi.

Non preoccupatevi per il Giorno del Giudizio, non sarete ritenuti responsabili, poiché voi non siete miei fratelli nell’Islâm. Voi siete Arabi, Persiani, Palestinesi, Africani, Malesi, Indonesiani, del sud est asiatico, ma non Musulmani.

Mi dispiace se ciò vi ferisce, ma non potete immaginare quanto ferisca me.

Aafia Siddiqui

Scrivi a Aafia Siddiqui

AAFIA Siddiqui # 90279-054
MDC BROOKLYN
METROPOLITAN Detention Center
P.O. BOX 329.002
BROOKLYN, NY 11232

Gli avvocati di Aafia consigliano, quando le si scriva, di non discutere o richiedere informazioni riguardanti il suo caso, o le accuse contro di lei, la sua sorte o quella dei suoi figli, per gli ultimi cinque anni. Potete inviare delle fotografie nelle vostre lettere, ma non pacchi postali.
È possibile inviare libri, giornali e riviste direttamente dalle case editrici (come www.barnesandnoble.com o www.amazon.com). Aafia ha chiesto un quotidiano e libri sulla natura.

Se volete essere certi che non abbia già ricevuto una copia della rivista o del libro che si vuole inviare, per favore scrivete un’e-mail a Sarah Kunstler sarah@fkolaw.com

Se preferite potete inviare e-mails di sostegno per Aafia Siddiqui a contact@cageprisoners.com

Si prega di inviare messaggi di sostegno alla sua famiglia a contact@cageprisoners.com

Il prigioniero reale è una persona il cui cuore è imprigionato dal suo Signore;
Veramente in cattivit
à è qualcuno schiavo delle sue passioni…
(shaykh Al-Islam Ibn Taymiyyah, rahimahullah)

28 marzo: Aafia Siddiqui Day – Giornata mondiale per Aafia Siddiqui

بسم الله الرحمان الرحيم

Assalamu ‘alaykum waRahmatullahi Ta’ala waBarakatuHu

Spero di trovarvi tutti in ottima salute e con l’Iman forte inshaAllah.

Vi invito a difendere l’onore della vostra sorella che ha dedicato la sua vita a difendere l’onore di questa Ummah. Se siete interessati, continuate a leggere per favore. In caso contrario, o se siete troppo occupati, spendete il tempo che vi sarebbe occorso per leggere questo messaggio per cercare una scusa che siate sicuri vi potrà proteggere nel Giorno del Giudizio. Ricordatevi soltanto il monito del Profeta (pace e benedizioni di Allah su di lui), che disse: “Chiunque sia presente mentre un Musulmano viene umiliato dinanzi a lui, e sia in grado di soccorrerlo (ma non lo faccia), Allah lo umilierà dinanzi a tutta la creazione nel Giorno del Giudizio”.

Noi tutti dovremmo essere consapevoli della situazione della nostra sorella Aafia Siddiqui che il mese scorso è stata condannata per il tentato omicidio di soldati americani in Afghanistan, e attualmente si trova in carcere.

Il lato oscuro di questa vicenda è il fatto che Aafia era scomparsa dal 2003, e afferma di essere stata rapita con i suoi tre bambini da parte dei servizi segreti pakistani, che li consegnarono poi nelle mani degli americani, i quali rinchiusero la sorella in diverse prigioni segrete, separandola dai suoi figli, per cinque anni, durante i quali fu ripetutamente stuprata e torturata. Due dei suoi bambini risultano tuttora scomparsi.

Al processo contro Aafia è stato dimostrato che non c’era alcuna prova di qualsiasi residuo proveniente dal fucile da cui si presume ella abbia sparato, alcuna traccia delle sue impronte sul fucile stesso; nessun bossolo di proiettile è stato rinvenuto nella camera, né alcun foro di proiettile nel muro. Le testimonianze dei soldati erano in conflitto le une con le altre, e con le loro stesse precedenti dichiarazioni.

Nonostante l’accusa abbia ammesso che Aafia non sia un membro di Al-Qa’ida, e che non sia collegata ad alcun gruppo terroristico, ella è stata a tutti gli effetti giudicata come se lo fosse. La lettura della sua sentenza è prevista per il 6 maggio, e potrebbe passare il resto della sua vita in un carcere americano di massima sicurezza. Attualmente, le è stato negato l’accesso alle linee telefoniche, non può né inviare né ricevere lettere, o eventuali visite, nell’interesse della “sicurezza nazionale”.
Aafia Siddiqui Day – Giornata mondiale per Aafia Siddiqui

Domenica 28 marzo 2010 sarà il 7 ° anniversario del rapimento di Aafia e dei suoi bambini. Per commemorare tale ricorrenza ed evidenziare il caso di Aafia come simbolo della brutalità della cosiddetta “guerra al terrorismo”, con l’obiettivo di farla reimpatriare in Pakistan e di avviare un’indagine sulla sorte dei suoi due bambini scomparsi, si è formato il Comitato Giustizia per Aafia (Justice for Aafia Coalition – JFAC -www.justiceforaafia.org), che attualmente è presente in quattro continenti.

In una giornata internazionale di protesta, il nostro obiettivo è di organizzare eventi, manifestazioni, campagne per l’invio di lettere, khutbah, etc nelle città di tutto il mondo, per dimostrare la nostra solidarietà nei confronti di Aafia, nello stesso giorno, il 28 di marzo.
Ognuno di voi può organizzare quanto segue:

a) Organizzare un evento nella vostra località. Si potrebbe passare un’ora approfondendo la sua vicenda, presentando il suo caso alla comunità, dopo averlo studiato approfonditamente. Il Comitato Giustizia per Aafia (JFAC) vi potrà fornire tutte le informazioni necessarie per la presentazione. Chiedete l’appoggio di politici di tutti gli schieramenti, dell’imam locale, e di qualsiasi altro contatto.

Se siete interessati ad organizzare una conferenza o un incontro di questo genere, con l’eventuale proiezione di un documentario, scrivete un’e-mail a events@justiceforaafia.org
b) Sottoponete il vostro progetto al sito, facendo in modo che sia tutto organizzato entro pochi giorni, e cercando di ottenere il più possibile l’attenzione dei mass media (submissions@justiceforaafia.org)

c) Chiedete a 20 persone della vostra comunità di inviare una lettera sia al vostro quotidiano locale che ad un quotidiano nazionale nella settimana che comincia il 22 marzo. Le lettere dovranno essere brevi, accennare al Giorno mondiale per Aafia Siddiqui, ricordando il rapimento, la detenzione, i bambini scomparsi e l’evento che si sta organizzando.

d) Cercate 20 persone (non le stesse del punto precendente) che scrivano quel giorno una lettera ad Aafia; anche i bambini potrebbero scriverle una letterina mashaAllah… Anche se attualmente le viene negato il diritto di ricevere posta, se il volume delle lettere ricevute fosse sufficiente, cio’ potrebbe aprire un lieve spiraglio.

e) Ci sarà Insha’Allah una marcia di solidarietà presso l’ambasciata del Pakistan a l’ambasciata Usa a Londra, domenica 28 marzo, a partire dalle ore 14.00. Vi chiediamo di pubblicizzare l’evento, e se possibile organizzare il viaggio di quanti volessero partecipare.

f) Il più presto possibile, sarà disponibile sul sito un opuscolo informativo e altre risorse; tutto il materiale sarà tradotto in più lingue, chiunque potrà stampare e distribuire il materiale.

g) Contattate la moschea locale, chiedendo di dedicare la Khutba di venerdì 26 marzo al caso di Aafia Siddiqui. InshaAllah ci sarà presto una khutba-modello disponibile da scaricare dal sito web

Ci sono altre idee in fase di sviluppo; chiunque volesse contribuire a questa campagna, può contattare il sito inshaAllah.

(info@justiceforaafia.org)

Sorella Aafia era solita sensibilizzare e raccogliere fondi per i suoi fratelli e sorelle in Bosnia durante il genocidio, aveva l’abitudine di andare a trovare i neo Musulmani a casa loro, e insegnare loro il Corano; insegnava ai disabili, portava i musahif e altri libri islamici ai prigionieri Musulmani negli Stati Uniti, ed è solo quel poco che sappiamo di lei. La piena portata dei suoi sforzi per questo Dîn, solo Allah la conosce. Cerchiamo di non perseverare nell’abbandono della nostra sorella, che è una prova di quanto sia debole questa Ummah, e di quanto siamo lontani dai tempi in cui una prigioniera Musulmana gridò: “Yâ Mu’tasim!!”…

Jazakum Allahu khayran

wa-s-salam

INSHAALLAH SCRIVETE ALLA SORELLA AAFIA SIDDIQUI, INVIATE LETTERE DI PROTESTA, FIRMATE LA PETIZIONE…

Per scrivere alla sorella AAFIA (che Allah la liberi):

AAFIA Siddiqui # 90279-054
MDC BROOKLYN
METROPOLITAN Detention Center
P.O. BOX 329.002
BROOKLYN, NY 11232

Gli avvocati di Aafia consigliano, quando le si scriva, di non discutere o richiedere informazioni riguardanti il suo caso, o le accuse contro di lei, la sua sorte o quella dei suoi figli, per gli ultimi cinque anni. Potete inviare delle fotografie nelle vostre lettere, ma non pacchi postali.
È possibile inviare libri, giornali e riviste direttamente dalle case editrici (come www.barnesandnoble.com o www.amazon.com). Aafia ha chiesto un quotidiano e libri sulla natura.

Se volete essere certi che non abbia già ricevuto una copia della rivista o del libro che si vuole inviare, per favore scrivete un’e-mail a Sarah Kunstler sarah@fkolaw.com

Se preferite potete inviare e-mails di sostegno per Aafia Siddiqui a contact@cageprisoners.com

Si prega di inviare messaggi di sostegno alla sua famiglia a contact@cageprisoners.com oppure a

support@justiceforaafia.org

Se non si desidera inviare una lettera direttamente scriveteci all’indirizzo letters@justiceforaafia.org e noi la stamperemo e invieremo per posta a vostro nome.

FONDO DONAZIONI PER LA DIFESA LEGALE DI AAFIA

Potete effettuare una donazione all’indirizzo: https://www.mlfausa.com/

Per informazionin più dettagliate consultate il sito http://www.justiceforaafia.org/

Scrivere al governo degli Stati Uniti

Inviare lettere alle autorità americane a proposito dei maltrattamenti subiti dalla nostra sorella, del verdetto ingiusto che è stato pronunciato mercoledì 3 febbraio 2010, nonostante l’inconsistenza delle prove contro di lei. Chiedere che venga immediatamente avviata un’indagine sulla sorte dei bambini scomparsi.

Telefonare o scrivere a

President Obama:
The White House
1600 Pennsylvania Avenue
NW Washington,
DC 20500

Si prega di includere il vostro indirizzo e-mail

telefono (è possibile registrare dei messaggi): 202-456-1111 Fax: 202-456-2461

FIRMATE LA PETIZIONE

http://www.gopetition.com/online/22570.html

Vi ricordiamo che la Giornata Mondiale per Aafia Siddiqui e’ prevista inshaAllah per il 28 marzo, invitiamo tutte le sorelle e i fratelli a fare anche un minimo gesto di solidarieta’, come scrivere una semplice lettera inshaAllah…

…e invitiamo veramente col cuore i cosiddetti “rappresentanti” dell’Islam in Italia a levare la loro voce in difesa della nostra sorella, vittima di cotanta ingiustizia… YA MU’TASIMA…

E almeno non dimenticatela nei vostri du’a, inshaAllah…

jazakumullahu khayran, wasalam