giovedì 25 marzo 2010

Aafia Siddiqui: Rapita coi suoi tre bambini, torturata per 5 anni a Bagram, deportata negli Usa per un processo-farsa

بسم الله الرحمن الرحيم
Nel Nome di Allah, il sommamente Misericordioso, il Clementissimo

Aafia Siddiqui, nata a Karachi, in Pakistan, il 2 marzo 1972, è una dei tre figli di Mohammad Siddiqui, un medico laureato in Inghilterra, e di Ismet. È madre di tre bambini.
Aafia si recò in Texas nel 1990, per raggiungere suo fratello, e dopo aver studiato per un anno all’università di Houston si trasferì al MIT. Sposò poi Mohammed Amjad Khan, uno studente di medicina. Si laureò alla Brandeis University prima di conseguire un dottorato al Massachusetts Institute of Technology.
A causa delle difficoltà, per i Musulmani, di vivere negli Usa dopo l’11 settembre, Aafia e suo marito tornarono in Pakistan.
Essendo sopraggiunti dei problemi coniugali, Aafia e il marito divorziarono quando la donna si trovava all’ottavo mese di gravidanza del suo terzo bambino. Aafia e i bambini andarono a vivere nella casa della madre di lei.
Dopo aver dato alla luce il suo terzo figlio, Aafia rimase a casa di sua madre per il resto dell’anno, poi decise di ritornare negli Usa con i bambini, intorno al dicembre 2002, per cercare lavoro nell’area di Baltimora, dove sua sorella aveva trovato un impiego al Sinai Hospital.
Quando gli Americani catturarono Khalid Sheikh Mohammad, Aafia e i suoi bambini scomparvero. Un articolo sulla stampa pakistana in lingua Urdu sostenne da subito che la donna e i bambini erano “sotto custodia” delle autorità pakistane; in altri termini: rapiti.
Secondo quanto riportato da diverse associazioni per la difesa dei diritti umani, si stima che il presidente pakistano Musharraf abbia venduto, dall’inizio dell’aggressione contro l’Afghanistan, almeno 600 persone sospettate di terrorismo alla Cia.
Come raccontano i familiari, Aafia, insieme ai suoi tre bambini, lasciò la casa materna, a Gulshan-e-Iqbal, il 30 marzo 2003; dovevano prendere un volo per Rawalpindi, ma non raggiunsero mai l’aeroporto. Fonti che preferiscono mantenere l’anonimato dichiarano che Aafia fu rapita dai servizi segreti, e consegnata nelle mani di agenti americani.
Aafia Siddiqui era scomparsa da più di un anno, quando l’FBI (che già la deteneva illegalmente con i figli nel centro di tortura di Bagram, in Afghanistan) aggiunse ipocritamente le sue fotografie nella lista dei “most wanted”, i più ricercati del pianeta, per presunti legami con Al-Qa’ida.
La stampa al servizio della disinformazione, in seguito ad una conferenza dell’FBI, montò una storia, sostenendo che la scienziata sarebbe stata addirittura al centro di un traffico di diamanti in Liberia, nel 2001. Ma l’avvocata della famiglia possiede dei documenti che provano come Aafia si trovasse a Boston proprio la settimana in cui – secondo la ricostruzione fasulla – avrebbe dovuto essere in Liberia a trafficare diamanti.
Improvvisamente, martedì scorso, Aafia è “ricomparsa” dinanzi ad un tribunale di New York, per rispondere dell’accusa di “tentato omicidio e aggressione” nei confronti di agenti americani. Rischia 20 anni di prigione.
Ma come è arrivata negli Usa?
Secondo la versione fornita dai mass media al servizio della disinformazione, L’Fbi sostiene di non aver avuto tracce della Siddiqui dal momento della “scomparsa”, nel 2003. Il capo di imputazione che la incrimina per terrorismo e tentato omicidio, parla di un arresto il 17 luglio a Ghazni, in Afghanistan. La donna sarebbe stata bloccata dalla polizia locale: sarebbe stata trovata in possesso di documenti sulla preparazione di esplosivi. La Siddiqui, per l’Fbi, avrebbe anche avuto con sé liquidi e gel non meglio precisati e descrizioni di edifici di New York.
Il giorno dopo, 18 luglio, secondo gli atti presentati alla Corte federale del Southern District, a Manhattan, due agenti dell’Fbi, due ufficiali dell’Esercito Usa e due traduttori si sarebbero recati a interrogare la donna a Ghazni. Nella stanza degli interrogatori, la donna sarebbe riuscita a impossessarsi del mitragliatore M-4 di uno dei militari e, gridando «Allahu Akbar», lo avrebbe puntato sugli agenti. Un interprete sarebbe riuscito a deviare l’M-4 mentre la donna apriva il fuoco e un militare le avrebbe sparato “per legittima difesa”. La Siddiqui sarebbe stata ferita al torace, ma non gravemente.
Ma la versione fornita dai familiari della sorella è drammaticamente diversa: in realtà, Aafia è stata prigioniera per anni nella base americana di Bagram, in Afghanistan. «Le torture e gli stupri a cui l’hanno sottoposta negli ultimi 5 anni sono crimini che superano tutti quelli che le imputano», ha detto la sorella di Aafia, Fauzia, ai giornalisti di Karachi, durante una conferenza stampa. Anche un’avvocata che assiste la Siddiqui a New York, Elaine Whitfield Sharp, ha dichiarato: “Sapevamo da molto tempo che Aafia si trovava a Bagram. Molto tempo. La mia cliente ha dichiarato di avervi trascorso degli anni, sotto custodia americana; il trattamento riservatole è stato orribile”.
L’avvocata ha particolarmente insistito sulle condizioni di salute di Aafia. In particolare, dopo essere stata colpita, non ha ricevuto cure mediche appropriate e la ferita si è infettata. La donna è estremamente debole, eppure le vengono negate le visite a cui avrebbe diritto.
Perfino i contatti tra l’avvocata e la sua cliente sono stati problematici. Si sono parlate soltanto in una cella, con un vetro a separarle, e l’unico contatto possibile è stato attraverso la porticina per passare il cibo. Come dice l’avvocata: “Dovevamo parlare a voce bassa, coscienti di essere videoregistrate. In questa situazione, mi è stato impossibile comunicare con la mia cliente”.
Aafia e i suoi bambini sparirono nel 2003. Il secondo marito di Aafia si trova anch’egli, secondo quanto riferito dagli Usa, detenuto per “terrorismo”, a Guantanamo…
L’FBI estorse il nome di Aafia a Khalid Sheikh Mohammad sotto tortura.
Cosa è successo ai bambini??? Il più piccolo, al momento della cattura era un neonato di 9 mesi, il più grande, Ahmed, aveva 7 anni. La famiglia di Aafia non ha mai più avuto alcuna notizia di loro.
Secondo quanto riferito dal sito Cageprisoners, Ahmed, che oggi ha soltanto 12 anni, è detenuto illegalmente in Afghanistan, ora senza più nemmeno sua madre, nonostante la sua cittadinanza americana.
Gli Usa rifiutano di liberarlo e di riaffidarlo in custodia ai suoi parenti, in Pakistan. Cosi come rifiutano di fornire informazioni relative ai suoi due fratellini rapiti…

YÂ MU’TASIMA!!!
Assalamu ‘alaykum waRahmatullah
riportiamo di seguito un articolo sulla nostra sorella Aafia Siddiqui, dal quotidiano il manifesto del 13.08.08

È il lato oscuro degli Usa
Ferita e in catene, la «prigioniera 650» alla sbarra a New York

JOHN ANDREW MANISCO/LUCIO MANISCO

«The Dark Side», «Il Versante Oscuro» di Jane Mayer, pubblicato il mese scorso negli Stati Uniti, documenta le violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale, l’abrogazione del «Bill of Rights» e delle garanzie costituzionali perpetrate dall’amministrazione Bush dopo l’11 settembre sotto l’egida della lotta al terrorismo. Il titolo richiama la minacciosa battuta del vicepresidente Dick Cheney subito dopo l’attentato alle Torri gemelle: «Ora l’America dovrà entrare nel versante oscuro della sua storia».

In tribunale ferita e in catene
Abbiamo quindi avuto la guerra dell’Afghanistan e all’Iraq, Abu Grahib, Bagram, Guantanamo, la tortura istituzionalizzata sotto diverso nome dagli editti della Casa Bianca e il trasferimento segreto in carceri straniere dei sospettati di terrorismo a opera della Cia. Ma il dramma su cui si è levato il sipario il 5 agosto in un aula del tribunale federale del distretto di Manhattan sta rivelanto quanto tenebroso sia stato quel «versante» e quanto inarrestabile per disumanità sia stata «la discesa all’inferno degli Stati uniti d’America», nelle parole dell’avvocato Elizabeth Fink.
Davanti al giudice Ronald L. Ellis è stata portata una donna pakistana in catene di 36 anni, ferita alle spalle da due colpi di arma da fuoco, macilenta, tremante e in stato di choc: risponde al nome di Aafia Siddiqui. Non è un nome nuovo alle cronache dell’antiterrorismo. L’ex ministro alla giustizia John Ashcroft la identificò nel 2004 come militante di Al-Qaida, latitante, coinvolta nell’attentato alle Due Torri e in altri complotti terroristici negli Stati uniti. Un breve profilo diffuso dal Fbi la descriveva come «nota scienziata» laureata in neurologia al Massachussetts Institute of Technology e alla Brandeis University negli Stati uniti, e madre di tre figli. La notizia della sua latitanza era stata apparentemente falsificata per motivare lo stato d’«allarme giallo» proclamato da Ashcroft: in realtà Aafia Siddiqui era stata catturata insieme ai tre figli a Karachi dai servizi segreti pakistani nel marzo 2003 e consegnata a personale militare statunitense che l’aveva trasferita nella famigerata prigione all’interno della base di Bagram, in Afghanistan. La notizia del suo arresto era stata data dalle autorità pakistane, non era stata confermata da quelle americane che avevano mantenuto il silenzio assoluto fino ad una clamorosa smentita diramata lo scorso mese. E’ stata questa smentita a provocare una vera e propria crisi diplomatica tutt’ora in corso tra Islamabad e Washington. Diverse fonti negli ultimi cinque anni hanno attestato in termini terrificanti la sua presenza come «prigioniera numero 650» in quello diventato tristemente famoso come «il dipartimento torture» del carcere di Bagram. Imram Khan, l’ex campione pakistano di cricket presentatosi poi come candidato alla presidenza contro Musharraf, l’ha chiamata «la signora in grigio», «quasi un fantasma, uno spettro le cui urla e i cui pianti continuano a tormentare i sonni di chi li ascoltò». Un detenuto riuscito ad evadere raccontò poi ad una stazione televisiva araba di avere visto più volte la donna mentre veniva trascinata in catene da soldati americani lungo un corridoio che portava alle latrine del carcere, «poi la riportavano nella sua cella e lei sembrava impazzita, piangeva e batteva freneticamente i pugni sulla porta».

«Torturata per cinque anni»

La sorella Fauzia residente a Karachi ha dichiarato: «E’ stata violentata e torturata per cinque anni, non sappiamo nulla del destino dei suoi tre figli. Si tratta di un crimine inaudito, peggiore di qualsiasi altro crimine di cui possa essere stata mai accusata». Nel tribunale di Manhattan il pubblico ministero Christopher L. Lavigne ha ribadito dal canto suo il 5 agosto, che «la signora Siddiqui fino al 22 luglio scorso, data del suo arresto, non era stata mai detenuta dalle autorità americane», ma la versione da lui fornita sulle circostanze della sua presunta cattura due settimane fa non è solo inverosimile ma sfida qualsiasi logica. Dunque Aafia Siddiqui sarebbe stata arrestata davanti ad una stazione di polizia afghana e trovata in possesso di alcune fiale di sostanze chimiche sospette, di una lista di bersagli «sensibili» negli Stati uniti e del «manuale anarchico per la fabbricazione di bombe». Nessuna spiegazione fornita del perché una scienziata laureata in neurologia, nota per il suo estremismo islamico, passeggiasse con questo materiale nella borsetta davanti ad un commissariato di polizia. Più incredibile il prosieguo della versione del pubblico ministero: due agenti del Fbi, due militari americani e due interpreti si presentano in una sede governativa per interrogare la donna e non si acorgono che lei si trova dietro una tenda da cui esce urlando «Allah è grande»; impadronitasi di un fucile mitragliatore appoggiato sul pavimento da un militare Usa, apre poi il fuoco senza colpire nessuno. Viene a sua volta abbattuta con due colpi di pistola automatica calibro nove da uno degli interpreti. L’avvocato difensore Elizabeth Fink indica la donna gracile che non pesa più di quaranta chili, seduta in evidente stato di choc con un velo scuro sul capo e ammanettata nell’aula del tribunale e chiede al giudice: «Questa storia è palesemente assurda: lei come fa a crederci?». Arriva secca la replica del magistrato: «Non ho alcun motivo per dubitare dell’informazione fornitami dalla pubblica accusa». Vengono quindi respinte la richiesta di rilascio in libertà provvisoria e l’esigenza di cure speciali per le ferite riportate.

Oro colato, la versione ufficiale

Il giorno dopo i quotidiani britannici Guardian e The Independent dedicano intere pagine al caso di Aafia Siddiqui e si chiedono perché mai l’imputata non sia andata a finire a Guantanamo come «combattente nemica» e sia stata invece incriminata a New York per tentato omicidio di militari statunitensi, un reato punibile con sei o sette anni di reclusione. Più stringato e asettico il resoconto del New York Times che si limita ad osservare come altri casi di terrorismo siano stati affrontati da normali tribunali quando le prove di reati minori rendevano più certe le condanne. Nessuna menzione sul quotidiano newyorchese delle torture inflitte alla Siddiqui, in quanto vengono accolte come oro colato le smentite governative.

Jazakillahu khayran a Khadijah, che attraverso Kelebek ci trasmette i links di due petizioni per ottenere inshaAllah la liberazione della sorella Aafia Siddiqui e dei suoi bambini:

Cageprisoners.com – serving the caged prisoners in Guantanamo Bay

Appeal for the Release of Dr. Afia Siddiqui & Her 3 Children Petition

Jazakillahu khayran anche a Noura, che segnala la storia di Aafia al sito dei bambini scomparsi:

Bambini Scomparsi – Troviamo i Bambini

Allah ci basterà, Egli è il Migliore dei Protettori

Per scriverle:

AAFIA SIDDIQUI 90279-054 36

MDC BROOKLYN

METROPOLITAN DETENTION CENTER

P.O. BOX 329002

BROOKLYN, NY 11232

Per inviarle del denaro:

Federal Bureau of Prisons

AAFIA SIDDIQUI

90279-054 36

Post Office Box 474701

Des Moines, Iowa 50947-0001

Per firmare la petizione per la sua liberazione:

Justice for Aafia Siddiqui Petition

Jazakumullahu khayran di diffondere questa campagna inshaAllah, attraverso siti, blog, mailing lists, ecc…

1 commento:

  1. bismillah
    assalamu 'alaykum
    barakAllahu fikunna per le traduzioni
    Ummu Ahmed

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